I figli: questi sconosciuti

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nessuno è colpevole ma tutti colpevoli

Sono anche nostri i ragazzi che si sono avventati come bestie fameliche su corpi ancora di bambine. Quando li guardiamo questi nostri figli hanno facce ancora sbarbate, pulite come soltanto l’età giovane sa essere pulita. Parlano è vero uno slang tutto loro che ci a volte sorridere. Magari li accompagniamo sulla porta di casa quando escono per andare a scuola; forse conosciamo anche i loro coetanei, compagni di viaggio della loro adolescenza inquieta e le loro famiglie. Incontriamo i professori e li affidiamo alle loro cure anche se, sempre più spesso, ne contestiamo il giudizio. Si sa “core di madre”” crede e abbraccia tutto del proprio figlio che è “un pezzo de core”. Eppure… qualcosa ci manca della loro vita, qualcosa ci è sfuggito, qualcosa è tanto terribile da vedere che siamo forse rimasti alla superficie della loro coscienza.

Hanno ancora occhi di bambini ma hanno già guardato l’orrore del tradimento, si sono inabissati nel vortice del male, hanno preso per mano due loro coetanee che cre3dendo di sfuggire agli occhi dei più per fare un nuovo gioco.

Cosa abbiamo o non abbiamo fatto? In cosa abbiamo mancato o in quale pezzo della loro vita siamo stati assenti? Li abbiamo accanto a noi tutti i giorni e ci troviamo davanti estranei che, forse, non hanno nemmeno coscienza dell’abisso in cui si trovano. Sono nostri questi figli, figli della nostra cura, figli dei nostri abbracci, delle nostre speranze. Eppure … Figli della loro e della nostra solitudine. Perché non abbiamo avuto tempo, o abbiamo creduto superfluo andare oltre il semplice abbraccio, o semplicemente abbiamo creduto che non dovesse capitare a noi. Figli nostri, ma anche della cultura del tempo, del degrado sociale del nostro tempo, della nostra convinzione che se avessimo dato tutto e fossimo stati accondiscendenti avremmo assicurato loro la felicità.  Non è così. Abbiamo sbagliato, si abbiamo sbagliato tutti e, magari anche quando diciamo sbagliamo ancora perché sottraiamo loro, ai ragazzi, l’onere di corrispondere alla libertà con responsabilità. Si abbiamo sbagliato e sbagliamo ancora quando ci crediamo anche noi degli adolescenti che non finiscono mai di crescere. Ci piace quando ci dicono che siamo genitori giovani, ci soddisfa il sottile compiacimento che avvertiamo quando qualcuno sottolinea che, con la nostra figlia, sembriamo coetanee. Li abbiamo lasciati soli perché anche noi presi nel vortice impazzito della vita che alza l’asticella delle richieste. Lo scooter, la maglietta, il telefono, il computer, le vacanze, l’esibizione delle cose che si posseggono. E allora perché non superare l’ultima barriera che separa il lecito dall’illecito, il bene dal male, il possibile dall’impossibile, il mio dal tuo. Cioè afferrare un corpo che non mi appartiene, che non posso comprare, che non è nella mia disponibilità vorace.   Macchine desideranti noi come loro e perciò nessuno è colpevole ma tutti colpevoli.