La parola agli uccisi

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si appellano soltanto alla nostra voce

La voce che si eleva sopra il grido della sofferenza umana è quella di papa Francesco che non cessa di rivolgere la sua preghiera e il suo monito ai potenti del mondo perché, esercitando in maniera positiva il loro potere, pronuncino finalmente la parola “pace”.

La pace, aspirazione di tutti gli uomini è la coperta lisa che ciascuno tira dalla sua parte accampando, sia per la sua rottura che per il suo ristabilimento, le ragioni che crede più opportune e la piega alla logica umana del potere. Siamo pacifisti a giorni alterni, appoggiamo i diritti dei popoli offesi quando ci sentiamo travolti dalla loro condizione, gridiamo all’invasione quando pure i miseri della terra vorrebbero trovare uno spicchio di terra adatta a loro, ce la prendiamo con la pax americana o con il nuovo zar Putin, ma anche con Hamas pur non tralasciando Israele che, nella reazione ad una atroce ferita subita, mostra il volto duro della legge “occhio per occhio e dente per dente”.

Dove è la giustizia in tutto questo? Dove si è nascosta ai nostri occhi accecati dalla fuliggine dei pensieri indotti dai parolai di turno che, quasi suadenti, ci trascinano dalla loro parte?

Da quale parte vogliamo stare noi? Questa domanda trascorre i secoli della storia umana che pure è proceduta con la forza delle armi, mentre quella che noi chiamiamo pace è stata ed è soltanto una pausa, più o meno lunga, che separa una guerra dall’altra.

Da che parte stiamo noi? Scegliamo, una volta per sempre e scegliamo di stare dalla parte di coloro che non possono più difendere le loro ragioni perché sono morti. Un numero con tanti zeri, grandi e piccoli, sotto le macerie di questo o quel Paese, uccisi dalle ragioni degli uni e degli altri, ma ora morti che non hanno più voce e che si appellano soltanto alla nostra voce.