Usque tandem?

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L'Europa lancia all’Onu proposta di una Conferenza di pace

“Le guerre devono essere combattute per questo motivo, per poter vivere in pace senza oltraggio. Ottenuta però la vittoria, devono essere sempre salvati coloro che in guerra non furono nè crudeli né disumani […]. Bisogna sempre provvedere ad una pace che sia sicura e che non nasconda tranelli” (Cicerone, De officiis). Mai come in questo periodo le parole di Cicerone evocano una modalità di comportamento che, tenendo conto della guerra considerata strumento indispensabile per ottenere giustizia (vedi Ucraina e Israele), esperito l’uso delle armi per ritornare allo status quo ante, mai uguale, invita a non posticipare il ristabilimento della pace. Infatti, nessuna risposta potrà sanare le ferite di chi ha subito la violenza, nessuna reazione sebbene forte sembrerà adeguata. Perché, malgrado non osiamo dirlo, morte chiama morte, vendetta chiama vendetta, odio alimenta odio. Non a caso nella Bibbia, quando già si è consumata la rivolta contro Dio da parte di Adamo ed Eva, il Signore impose a Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque l’avesse incontrato sebbene reo di un delitto efferato che lo avrebbe esposto agli effetti della legge del taglione presentata con le parole: “Se uno farà una lesione al suo prossimo, si farà a lui come egli ha fatto all’altro: frattura per frattura, occhio per occhio, dente per dente; gli si farà la stessa lesione che egli ha fatto all’altro.» (Levitico 24, 19-20)   che invoca una irrogazione della pena “tale-quale”, cioè “pena altrettale”.

Essa introduce un principio giuridico fondamentale che ancora guida ogni sistema legale della società civile: che la sanzione debba essere commisurata al danno e non moltiplicata onde evitare il protrarsi delle vendette private. Non per questo era però meno crudele, spietata e non corrispondente con la giustizia tanto che già nell’Antico Testamento fu introdotta l’alternativa del compenso pecuniario: chi veniva leso poteva anche scegliere di essere risarcito in denaro.

Questo guadagno rispetto ad un costume di qualche secolo fa, costituito anche dai moderni istituti giuridici collegati a quello della democrazia, sembra essere messo in discussione dalla giustificata reazione all’obbrobrio subito dallo Stato di Israele.

L’affermazione che Hamas non è il popolo palestinese, che non è il governo legittimo della Striscia di Gaza dove i palestinesi sono costretti a subirne le azioni – che non facciamo fatica a definire terroristiche – sembra non determinare una riconsiderazione dei tempi e degli strumenti usati da Israele nella reazione. Ma fino a dove si può alzare il livello dell’asticella della reazione, quali sono i costi umani considerati giusti e tali che possano porre fine alla guerra, e fino a quando il popolo palestinese sarà costretto a pagare diventando anch’esso ostaggio della sicurezza che Israele vuole assicurarsi con le armi?  …

Gesù mirando al recupero della parità infranta dall’ingiustizia e dell’equità sostituisce l’“occhio per occhio dente per dente” con quella che deve essere definito il ricorso di giustizia più efficace e garantito: il perdono. Il suo compimento è pertanto la disponibilità a “porgere l’altra guancia”, il che non va inteso in senso strettamente letterale, ma concepito come affermato amore per i propri nemici. In sostanza se è giusto e legittimo ricorrere alla giustizia e alla legittima difesa, rivendicare i propri diritti non giustifica in alcun modo il rancore e l’odio né tantomeno la vendetta.

Se l’arma del perdono può sembrare assurda e discutibile è comunque l’unica strategia che garantisce la fine del circolo vizioso della vendetta.

Veniamo all’oggi. Il dilemma tra pace e guerra nella società attuale, che dispone di mezzi per la propria autodistruzione e che mette in dubbio i risultati che il pacifismo e l’azione non violenta possono raggiungere, diffida anche del cosiddetto “pacifismo istituzionale” dei superiori organismi di controllo considerati non in grado di proporre a attuare una soluzione pacifica dei conflitti o almeno la limitazione/ regolazione della violenza tra gli Stati.

Infatti, il primo risultato della guerra è la divisone, una divisione così profonda da contrappore i protagonisti anche se fino al giorno prima non avrebbero scommesso sulla possibilità di scontrarsi con le armi.

L’Europa è stata il teatro di due guerre mondiali e nel 1945 però fu in grado di pronunciare il più solenne “MAI PIÙ” con l’approvazione dello Statuto e la costituzione delle Nazioni Unite. A questo strumento si appella papa Francesco anche se ne ha denunciato pure il fallimento nell’opera di prevenzione, di quella che lo stesso Francesco definisce “terza guerra mondiale a pezzi”. Nello spazio determinato dall’inerzia diplomatica, si inseriscono gli Stati europei schierati a seconda delle convenienze e che insieme agli USA, sebbene con altri numeri, inviano armi e denaro. Noi crediamo all’Europa, vogliamo più Europa, difendiamo l’Unione e il suo Trattato fondativo ove si dichiara di voler rafforzare «la sua indipendenza al fine di promuovere la pace, la sicurezza e il progresso in Europa e nel mondo». Per questo essa ha l’onere di lanciare all’Onu la formale proposta di una Conferenza di pace.