Un po’ di verità

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A 80 anni dall'eccidio delle Fosse Ardeatine

Ottant’anni fa (il 24 marzo 1944) si consumava l’eccidio delle Forze Ardeatine perpetrato dai nazifascisti su 335 martiri cui non fu estranea la responsabilità del regime fascista.  Come avviene per gli eventi storici essi sono fatti oggetto della distorsione operata dalla memoria, quando va bene, ma soprattutto dall’uso propagandistico dell’evento piegato alla logica di questa o quella ragione, di questa o quella parte. Si attua così il furto alla storia in quanto l’evento, questo sì esecrabile, viene letto come risposta inevitabile ad una azione cui é addebitata ogni responsabilità.  Accade così che il massacro, avvenuto a 24 ore da un’azione dei partigiani e delle partigiane in via Rasella, in cui furono uccisi 32 uomini della polizia tedesca e molti feriti, fosse derubricato dal comando tedesco della città occupata di Roma, a giusta risposta alla “vile imboscata dei comunisti badogliani”. Oggi ci possiamo giovare di nuovi studi, nuove ricerche, nuove letture storiche che, evitata la risacca delle combinazioni temporali, si soffermano su tre nodi interpretativi che spiegano perché l’eccidio delle Fosse Ardeatine sia ancora ferita aperta nel sentimento nazionale. Il primo inserisce l’eccidio nella storiografia più ampia per cui esso non è episodio della tragedia nazionale, bensì di quella europea teatro nel Novecento della pratica della violenza ad opera di una potenza occupante che ci interpella sui limiti e la legittimità dell’uso della violenza. Il secondo nodo riguarda la Resistenza ed il peso che essa, sottratta alle spigolosità dei conflitti sulla memoria, ancora conserva tanto che cementa la nostra coscienza nazionale. Il terzo nodo forse è il più scabroso perché riguarda la legittimità della Resistenza, non episodio della guerra civile, ma momento fondativo del riscatto di un popolo che seppe da solo trovare la strada della dignità collettiva.